Madoi odiava le attese.
Come tutti noi, forse, sia che si attenda qualcosa di bello, perché non arriva mai, o di brutto, perché la si teme.
Madoi viveva anche per mesi, immobile a cavalcioni su una sedia, sigaretta perenne, musica a palla, gli intervalli tra un progetto e l' altro. Ad aspettare. Aspettare che una telefonata, una visita gli annunciassero che il suo lavoro, quello già compiuto e finito, inaugurato e archiviato solo nella sua testa, venisse approvato, finanziato, reso fattibile da una marea di permessi e concessioni.
Cioè che poteva cominciare, nella realtà, quello che per lui quasi non aveva più senso, avendolo già compiuto, con il pensiero. Lo aveva già stufato.
Per noi innocenti astanti quelli erano i giorni più comici e per i quali valeva la pena essere stati testimoni di tanta angoscia pregressa e aver patito la sua immobilità catatonica che richiedeva atti di servilismo abbruttente.
Scosso, sfidato, minacciato dai rappresentanti del Committente, Madoi richiedeva un paio di chilometri di carta da spolvero - dato che doveva fornire un qualcosina di più dei pezzettini di carta dove l' intero progetto era stato presentato per arrivare a questo stadio di approvazione - e cominciava a trasferirci sopra non più il progetto originale, ma un mosaico di pensieri, figure, note personali, numeri telefonici, il gatto di casa, la prima persona che passava per la strada, e così via.
Il tutto a velocità frenetica, notte, giorno, notte, per settimane. Alla fine veniva recuperato, districato , in mezzo a montagne di carta strappata e una mano santa gli spallottolava resti di bozzetti di valore inestimabile, non solo da rendere decenti per essere presentati al Committente, ma anche a testimonianza di questi momenti di pura e folle creazione e che riunivano altri dieci, venti progetti , tutti futuri eppure tutti già compiuti, finiti, inaugurati e archiviati , solo nei suoi pensieri.
Quanto ci manchi, quanto ci manca tutto questo. E' stato esilarante starti vicino.